COMMERCIO ON LINE E PAGAMENTI ELETTRONICI : IL DIVIETO DI SURCHARGING

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Nell’ambito del commercio on line si verifica, talvolta, un fenomeno chiamato “SURCHARGING” – letteralmente “sovrapprezzo” – ovvero accade che laddove si scelga, quale metodo di pagamento, l’utilizzo di carte di credito/debito o di sistemi alternativi –  pay-pall in testa –  il venditore carichi la commissione sul prezzo del bene venduto e quindi sul consumatore.

Ebbene, si tratta di una pratica “scorretta”, già ai sensi del Codice del Consumo – D.Lgs. 206/2005 –  il cui articolo 62 stabilisce molto chiaramente che “ai sensi dell’art. 3, comma 4, del D.Lgs. 11/2010, i professionisti non possono imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento, spese per l’uso di detti strumenti […]”.

Dunque, sulla base della suindicata disposizione, l’esercente non può applicare alcuna sovrattassa, nei confronti del pagatore, solo per aver scelto determinati strumenti di pagamento ai quali si applicano delle commissioni.

Negli anni successivi all’entrata in vigore del Codice del Consumo, che come abbiamo visto, già di per sé contiene un chiaro divieto di praticare il “surcharging”, anche l’Unione Europea si è occupata del fenomeno attraverso la Direttiva 751/2015, recepita in Italia con la L. 12 agosto 2016 n. 170.

L’articolo 11 della Legge, rubricato “Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento UE 751/2015 […], relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta”, impone proprio al Legislatore di uniformare le norme nazionali a quanto stabilito dal predetto regolamento UE, innanzitutto prevedendo una disciplina specifica, anche in abrogazione di quella vigente, proprio in materia di commissioni interbancarie (orientata, fra le altre cose, al divieto di “surchargnig”).

Inoltre, laddove si violi tale divieto, impone l’introduzione di sanzioni pecuniarie che vadano, per le società “da un minino di 30.000 euro ad un massimo di 5 milioni di euro, ovvero del 10% del fatturato quando l’importo della sanzione è superiore a 5 milioni di euro, e il fatturato è disponibile e determinabile” e per le persone fisiche “da un minimo di 5.000 euro ed un massimo di 5 milioni di euro” .

Ma non è tutto.

Si impone anche l’adozione di “procedure di reclamo e di risoluzione stragiudiziale delle controversie tra beneficiari e prestatori di servizio a pagamento in conformità a quanto previsto dall’art. 15 del regolamento UE 751/2015, anche avvalendosi di procedure e di organismi già esistenti”.

Si tratta di previsioni essenziali e significative, al fine di impedire quella pratica tanto scorretta che comporta spesso, come effetto finale concreto, quello di scoraggiare gli acquisti e creare sfiducia nel consumatore, specie quando approccia agli acquisti on line, guardati ancora con molta diffidenza.

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