LA CONCORRENZA SLEALE 2.0. – Il key word confusorio

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Questo è il primo articolo di una rassegna dedicata alla concorrenza sleale in Internet.

Sono diverse, infatti, le pratiche scorrette poste in essere dai fruitori della Rete, che danno vita a vere e proprie violazioni del diritto d’impresa.

Il primo esempio, forse il più comune, è il key word confusorio.

Se  per l’utente, la key word è quella parola che egli utilizza, all’interno del motore di ricerca, per ricercare, trovare e consultare siti di interesse, per l’azienda è un prezioso  strumento di marketing – del tutto lecito – attraverso il quale scalare i risultati nei motori di ricerca, e dunque, essere più facilmente raggiunto dall’utente.

Il servizio ADwords di Google nè è sicuramente l’esempio più noto.

Anche in questo ambito, però, l’insidia è dietro l’angolo.

È possibile che questo tipo di servizio venga utilizzato in modo improprio da aziende che, anziché utilizzare parole chiave che riportino direttamente alla propria attività o al proprio prodotto, ne adoperino altre che, invece, facciano riferimento ad altri marchi o prodotti ben più noti e conosciuti, sfruttandone la notorietà e lucrando, a scapito del legittimo proprietario di quel marchio o prodotto.

In tal modo l’utente, che digita la parola chiave riferita al marchio o prodotto conosciuto, otterrà un risultato, spesso, nemmeno lontanamente attinente alla ricerca effettuata.

Dal punto di vista giuridico, questa pratica si qualifica come un vero e proprio atto di concorrenza sleale perché, chi lo pone in essere, avvalendosi “direttamente o indirettamente di ogni mezzo non conforme ai principi della concorrenza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”(art. 2598 n. 3.cod. civ.), ingenera“un rischio di confusione sul mercato con altri segni conosciuti come distintivi di imprese, prodotti o servizi altrui” e lede “l’altrui diritto d’autore, proprietà industriale o altro diritto esclusivo di terzi”(Tib. Milano, 3280/2009).

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