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Prima di internet, l’identità di un soggetto era costruita dal soggetto stesso e nulla aveva a che fare con i media, a meno che non fosse un personaggio Vip.

Con internet, l’identità dell’individuo e di conseguenza la sua reputazione, non si basa solo sulla rete di relazioni interpersonali che questo riesce a costruire nel tempo, ma si confonde con quella elaborata dalla Rete.

L’identità di un soggetto in Rete può formarsi attraverso diverse realtà, che convergono.

C’è l’identità creata dai motori di ricerca. Ogni click, ricerca, pagina aperta, parola chiave digitata, sito visitato, lascia dietro di se una scia di informazioni che riguardano la nostra persona. Tali informazioni, unite a quelle che noi consapevolmente consegniamo alla Rete ogni giorno, contribuisce a creare il nostro profilo utente.

Un profilo ricchissimo di informazioni che noi stessi abbiamo fornito, consapevolmente e/o, soprattutto, inconsapevolmente, che diventano oggetto di scambio e merce appetibile per i sovrani del marketing.

Veniamo catalogati, inseriti in un target, inquadrati sulla base di quelle informazioni, di quei dati.

Poi vi è l’identità creata dai e sui social. Con la loro diffusione, la nostra vita si svolge su una doppia dimensione, quella on line e quella off line.

In alcuni casi queste due dimensioni si equivalgono o si integrano, in altri si discostano completamente rispetto all’identità sociale.

Proprio per la sua struttura virale, internet  funge da gigantesca cassa di risonanza che permette ai contenuti da noi immessi (commenti, foto, dati personali etc.) di viaggiare velocemente raggiungendo realtà a noi lontanissime e, allo stesso tempo, un numero enorme di destinatari, fino a sfuggire completamente al nostro controllo, diventando oggetto degli umori sociali che spesso si spingono ben oltre il legittimo diritto di critica e di libera manifestazione del pensiero.

Possiamo dire tutto di chiunque e chiunque potrà dire tutto di noi, e tutto rimane li.

Questo profilo è oggetto di attenzione anche in ambito penalisitico laddove si sottolinea quanto possa essere diverso il danno provocato da una diffamazione perpetrata in una realtà ordinaria e quanto invece possa essere dannosa una diffamazione perpetrata nella realtà digitale.

Va da se che nel secondo caso vi sia un grado di pregiudizio maggiore tanto che si sta profilando l’aggravante dell’utilizzo del mezzo Internet in reati come l’offesa arrecata col mezzo stampa.

Riproduzione risevata


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