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Il 5 maggio 2014, il Tribunale di Torino ha emesso un’ordinanza con la quale conferma il ruolo di hosting passivo”di You Tube, stabilendo che “il provider deve provvedere alla rimozione dei contenuti ritenuti illeciti solo dietro segnalazione degli URL da parte del detentore dei diritti”.

Si tratta di una pronuncia importante in totale contrapposizione con le precedenti.

Ma andiamo con ordine, partendo dalla Legge per meglio comprendere la materia oggetto di discussione.

Ad occuparsene è il D.Lgs 70/2003 – agli artt. 16 e 17 – per cui il principio generale è quello della non responsabilità e dell’assenza dell’obbligo di sorveglianza degli internet service provider salvo specifiche ipotesi in cui si dimostri che questo, pur essendo stato preventivamente avvisto delle condotte scorrette che si consumavano sulla piattaforma di propria competenza, non si è attivato per la sospensione di comportamenti di manifesta natura illecita.

In un primo momento la giurisprudenza, ancora inconsapevole della realtà Internet, ha tentato di valutare i casi digitali secondo le regole di cui disponeva con la conseguenza –  assimilando il forum on line o il blog al prodotto editoriale in materia di internet e di diritto all’onore e alla reputazione – di investire il gestore del luogo elettronico della medesima responsabilità del direttore di una testata giornalistica.

Ma, si sa, quella della Rete è una realtà talmente ampia da non poter essere definita secondo limiti specifici e   paragonata a quella dei media tradizionali.

Per anni, si sono susseguite pronunzie che hanno stigmatizzato una responsabilità solidale del fornitore di spazio web con l’utente che ha perpetrato l’illecito, scatenando le proteste degli addetti del settore.

In questa realtà i provider sono essenziali poiché senza i loro servizi la Rete non esisterebbe.

Da qui la condizione necessaria di non responsabilità del provider e di neutralità della Rete, a patto, però, di non essere effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita.  Inoltre, non appena messo a conoscenza dell’attività illegale da parte delle autorità competenti, il provider deve occuparsi di rimuovere le informazioni e disabilitare l’accesso.

Ma veniamo al caso specifico You Tube.

Con ordinanza del 16 dicembre 2009, il Tribunale di Roma – in riferimento alla causa “R.T.I Italia c/ You Tube + Google”,  sulla messa on line da parte di utenti di alcuni frammenti del Grande Fratello –  ha ritenuto che il “provider è responsabile quando non si limiti a fornire la connessione alla rete, ma eroghi servizi aggiuntivi (per es. caching, hosting) e/o predisponga un controllo delle informazioni e, soprattutto quando, consapevole della presenza di materiale sospetto si astenga dall’accertarne la illiceità e dal rimuoverlo o se consapevole dell’antigiuridicità ometta di intervenire”. 

Secondo il Tribunale di Roma, le due società – You Tube e Google – si configurano come “hosting attivi” posto che le stesse, come è possibile evincere dalla stessa regolamentazione contrattuale pubblicata sui loro siti web, si sarebbero espressamente riservate il diritto di controllare i contributi, di interrompere in maniera discrezionale la fornitura del servizio e di risolvere il contratto con l’utente.

Sulla base di tanto, il Giudice ha effettuato una valutazione caso per caso dell’attività del provider, stabilendo che, nel caso di specie, i provider hanno omesso di attivarsi per rimuovere dai propri siti web i contenuti illeciti, pur essendo venuti a conoscenza delle violazioni commesse attraverso le numerose diffide stragiudiziali inoltrate dalla R.T.I. S.p.a.

Il Tribunale di Torino, raggiunge conclusioni opposte qualificando You Tube come un mero “hosting passivo”, con la diretta conseguenza che – contrariamente  al fornitore di servizi di hosting attivo per cui la giurisprudenza ha ritenuto sufficiente anche una diffida generica che non menzioni i singoli URL correlati ai contenuti – l’eventuale diffida, finalizzata a rimuovere i contenuti illeciti o che si presume violino diritti di terzi, deve essere specifica e con l’indicazione dei singoli URL (gli indirizzi internet) riferiti a ogni singolo contenuto di cui si pretende la rimozione.

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